venerdì 10 dicembre 2010

Mi sono sempre chiesto - e continuo a chiedermelo senza riuscire a trovare una risposta

Mi sono sempre chiesto - e continuo a chiedermelo senza riuscire a trovare una risposta - perche' nella mia vita tutti quelli che mi sono stati maestri, le persone da cui ho imparato, dall'infanzia fino a oggi, erano e sono uomini e donne "soli", cioe' con una vita segnata dalla solitudine nelle sue varie forme: persone non coniugate, girovaghi, me ndicanti, monaci.

Sta di fatto che se anch'io come tutti ho avuto molti maestri - alcuni dei quali conosciuti e apprezzati per la loro intelligenza, la loro esemplarita', la loro profezia - non di meno quelli che io considero per me maggiormente determinanti sono stati dei solitari anonimi e sconosciuti ai piu', persone di cui non ritrovaimo tracce o documentazione scritta.

- Enzo Bianchi, Il pane di ieri (Einaudi, 2008)

martedì 7 dicembre 2010

Foto: Jo Jo Snelling.

Trasferimento da pellicola analogica.

[Surrey, aprile 2010].

Davvero la cucina e la tavola sono l'epifania dei rapporti e della comunione

Davvero la cucina e la tavola sono l’epifania dei rapporti e della comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità.

Il cibo cucinato e condiviso – il pasto – è allora luogo di comunione, di incontro e amicizia: se infatti mangiare significa conservare e incrementare la vita, preparare da mangiare per un altro significa testimoniargli il nostro desiderio che egli viva e condividere la mensa testimonia la volontà di unire la propria vitaa quella del commensale.

Sì, perchè nella preparazione, nella condivisione e nell’assunzione di cibo si celebra il mistero della vita e chi ne è cosciente sa scorgere nel cibo approntato sulla tavola il culmine di una serie di atti di amore compiuti da parte di chi il cibo lo ha cucinato e offerto come dono all’amico. Far da mangiare per una persona amata, prepararle un pranzo o una cena è il modo più concreto e semplice per dirgli: “Ti amo, perciò voglio che tu viva e viva bene, nella gioia!”

E’ un miope incapace di stupore chi nel cibo scorge oggi solo il frutto della tecnica che ha sostituito antichi attrezzi da lavoro o della scienza che ha inventato mutazioni genetiche: perchè un’alimento possa soddisfare la nostra fame bisogna infatti che da esso emergano – al di là di proteine, carboidrati e vitamine – l’intelligenza, la passione e il cuore dell’essere umano che trasfigura le creature in dono per il proprio simile.

Anche così, grazie allo stupore condiviso attorno a una semplice tavola del Monferrato, ho scoperto che l’appetito dell’uomo è infinito perchè non appartiene al corpo ma all’anima, che il cucinare deve sempre corrispondere a un’attesa e che la tavola richiede un atto di fede da parte di chi cucina e da parte di chi mangia.

- Enzo Bianchi, Il pane di ieri (Einaudi, 2008)