Mi sono sempre chiesto - e continuo a chiedermelo senza riuscire a trovare una risposta - perche' nella mia vita tutti quelli che mi sono stati maestri, le persone da cui ho imparato, dall'infanzia fino a oggi, erano e sono uomini e donne "soli", cioe' con una vita segnata dalla solitudine nelle sue varie forme: persone non coniugate, girovaghi, me ndicanti, monaci.
Sta di fatto che se anch'io come tutti ho avuto molti maestri - alcuni dei quali conosciuti e apprezzati per la loro intelligenza, la loro esemplarita', la loro profezia - non di meno quelli che io considero per me maggiormente determinanti sono stati dei solitari anonimi e sconosciuti ai piu', persone di cui non ritrovaimo tracce o documentazione scritta.
- Enzo Bianchi, Il pane di ieri (Einaudi, 2008)
Tutti hanno bisogno di una passeggiata ogni tanto - un posto dove andare quando vuoi annunciare al mondo (non al piccolo mondo di amici e famigliari, ma al grande mondo, il mondo reale) che hai un vestito nuovo, o che sei innamorato, o che ti sei improvvisamente accorto di essere piu' alto di un paio di centimetri quando non curvi le spalle. (Jonathan Franzen, Come stare soli)
venerdì 10 dicembre 2010
martedì 7 dicembre 2010
Davvero la cucina e la tavola sono l'epifania dei rapporti e della comunione
Davvero la cucina e la tavola sono l’epifania dei rapporti e della comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità.
Il cibo cucinato e condiviso – il pasto – è allora luogo di comunione, di incontro e amicizia: se infatti mangiare significa conservare e incrementare la vita, preparare da mangiare per un altro significa testimoniargli il nostro desiderio che egli viva e condividere la mensa testimonia la volontà di unire la propria vitaa quella del commensale.
Sì, perchè nella preparazione, nella condivisione e nell’assunzione di cibo si celebra il mistero della vita e chi ne è cosciente sa scorgere nel cibo approntato sulla tavola il culmine di una serie di atti di amore compiuti da parte di chi il cibo lo ha cucinato e offerto come dono all’amico. Far da mangiare per una persona amata, prepararle un pranzo o una cena è il modo più concreto e semplice per dirgli: “Ti amo, perciò voglio che tu viva e viva bene, nella gioia!”
E’ un miope incapace di stupore chi nel cibo scorge oggi solo il frutto della tecnica che ha sostituito antichi attrezzi da lavoro o della scienza che ha inventato mutazioni genetiche: perchè un’alimento possa soddisfare la nostra fame bisogna infatti che da esso emergano – al di là di proteine, carboidrati e vitamine – l’intelligenza, la passione e il cuore dell’essere umano che trasfigura le creature in dono per il proprio simile.
Anche così, grazie allo stupore condiviso attorno a una semplice tavola del Monferrato, ho scoperto che l’appetito dell’uomo è infinito perchè non appartiene al corpo ma all’anima, che il cucinare deve sempre corrispondere a un’attesa e che la tavola richiede un atto di fede da parte di chi cucina e da parte di chi mangia.
- Enzo Bianchi, Il pane di ieri (Einaudi, 2008)
Il cibo cucinato e condiviso – il pasto – è allora luogo di comunione, di incontro e amicizia: se infatti mangiare significa conservare e incrementare la vita, preparare da mangiare per un altro significa testimoniargli il nostro desiderio che egli viva e condividere la mensa testimonia la volontà di unire la propria vitaa quella del commensale.
Sì, perchè nella preparazione, nella condivisione e nell’assunzione di cibo si celebra il mistero della vita e chi ne è cosciente sa scorgere nel cibo approntato sulla tavola il culmine di una serie di atti di amore compiuti da parte di chi il cibo lo ha cucinato e offerto come dono all’amico. Far da mangiare per una persona amata, prepararle un pranzo o una cena è il modo più concreto e semplice per dirgli: “Ti amo, perciò voglio che tu viva e viva bene, nella gioia!”
E’ un miope incapace di stupore chi nel cibo scorge oggi solo il frutto della tecnica che ha sostituito antichi attrezzi da lavoro o della scienza che ha inventato mutazioni genetiche: perchè un’alimento possa soddisfare la nostra fame bisogna infatti che da esso emergano – al di là di proteine, carboidrati e vitamine – l’intelligenza, la passione e il cuore dell’essere umano che trasfigura le creature in dono per il proprio simile.
Anche così, grazie allo stupore condiviso attorno a una semplice tavola del Monferrato, ho scoperto che l’appetito dell’uomo è infinito perchè non appartiene al corpo ma all’anima, che il cucinare deve sempre corrispondere a un’attesa e che la tavola richiede un atto di fede da parte di chi cucina e da parte di chi mangia.
- Enzo Bianchi, Il pane di ieri (Einaudi, 2008)
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