A me il fatto che si parli cosi' tanto di operai e fabbrica sui giornali di questi giorni piace molto. Sembra di essere tornati (stavo per scrivere finalmente) agli anni '70, quando la sezione economica di Repubblica, se la memoria non mi inganna, si intitolava Economia e Sindacato, e a Radio Popolare la mattina andava in onda il cosiddetto sindacale, che era una specie di bollettino di scioperi e fabbriche occupate.
La classe operaia esiste ancora: non numerosa come allora, ma c'e'. E decisa a difendere i diritti acquisiti con le lotte dei nostri padri. I no sono stati oltre un terzo: risultato eccellente, considerate le previsioni.
Come ha scritto stamattina Ezio Mauro in un editoriale:
Perche' i vasi comunicanti della globalizzazione che spingono le produzioni verso i mercati emergenti per un dumping favorevole di diritti e di salari, potrebbero funzionare in una diversa direzione, estendendo a quei Paesi piu' poveri la democrazia dei diritti che l'Occidente ha conquistato in piu' di un secolo, e che fino a ieri considerava acquisiti, parte della sua civilta' materiale e morale, forma stessa del suo modo d'essere.
Non pensarlo, non testimoniarlo, significa semplicemente non avere fede nella democrazia, considerarla un concetto relativo, che vale solo alla latitudine occidentale, e non ha valore universale.
Consiglio di riprendere in mano un volume che ha quasi 15 anni, ma che anticipava quello che sta succedendo.
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